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Un Tesauro filosofo della letteratura e non solo filosofo per imitazione di Aristotele, anzi, piuttosto 'galileiano', vicino all'empirismo e non estraneo alla visione del mondo imposta dalla rivoluzione scientifica, sia per i contenuti delle metafore che predilige, sia per il metodo con cui procede e insegna a procedere per dar vita alle argutezze, è quello che emerge dalle pagine di questo volume, tese ad indagare il valore ontologico e gnoseologico della metafora così come viene alla luce dalla trattazione teorica dell'autore e a verificare nella pratica testuale delle sue tragedie l'efficacia reale del metodo suggerito nel Cannocchiale aristotelico. Spingendosi oltre il mero ambito della retorica e oltre la semplice variazione sui temi dell'etica aristotelica, la riflessione tesauriana fa dello scopo primario della filosofia aristotelica - e della filosofia in generale - lo scopo della retorica stessa: la conoscenza della verità diventa dunque non solo obiettivo da raggiungere, ma oggetto di una comunicazione che avviene necessariamente attraverso una scelta retorica. Ne risulta un legame quasi necessario fra retorica e verità, fra retorica ed essere, quello indagato dalla metafisica aristotelica come dai filosofi del Seicento, Galileo e gli empiristi in particolare. A stringere questo legame nell'ambiente cortigiano del XVII secolo è spesso la pratica della dissimulazione, che richiede un arguto lavoro con le parole, unica via da percorrere per chi non rinuncia a dire la verità.